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IL TEMPO DELLA MATERIA ANIMATA

IL TEMPO DELLA MATERIA ANIMATA

Aldo Ambrosini – Bruno Tosi – Linda Fontanelli – Loredana Müller

 

Testo di Gaia Ferrini, settembre 2022

 

 

La produzione artistica implica necessariamente una trasformazione, una rielaborazione della materia. Il movimento è dunque insito in questo passaggio, in questa modificazione della sostanza “grezza” fino ad un ipotetico arresto nel lavoro finito. L’essere umano fa esperienza diretta del suo corpo come materia animata, in grado di alterare ciò che lo circonda, dimenticandosi di quanto in realtà ogni essere, organico o inorganico, sia coinvolto in un duplice moto perpetuo: quello delle sue particelle interne e quello partecipato della biosfera tutta. La direzione è quella di un progressivo declino, o meglio, di un globale ri(ciclo), in un infinito ritorno ad un’unica terra.

Conscio della finitezza del suo tempo, l’Uomo è spinto a trasformare la materia per imprimervi una traccia del suo passaggio. Aldo Ambrosini ci pone davanti alla violenza di questa verità, alla consapevolezza della caducità del corpo, fragile come il supporto che sceglie di utilizzare: la carta velina. I suoi lavori di grande formato, reminiscenza del suo impiego da scenografo in teatro, divengono un crudo palcoscenico per la disperazione umana, un dramma che si consuma nei corpi straziati, nelle grida e nei passi incerti delle figure rappresentate. Gli strappi svelano le molteplici sovrapposizioni e gli incollaggi, lo scotch tenta di saldare i lacerti di un’umanità annebbiata, fatta principalmente di ombre e di qualche timida cromia. La simbologia cristiana, dal Crocifisso al San Sebastiano, è priva di quell’aura di beatitudine e serenità, ma avvolta dalla crudezza della morte. Le sue carte sono al tempo stesso leggere e gravose e, come sottili sudari, sono lasciate libere di incresparsi e muoversi, senza alcuna cornice a limitarne il respiro – da qui la scelta di esporle in sala anche sulle tende. Nei volti, come maschere, l’espressione lascia posto all’espressività del segno, con un nero acquerellato che riempie le grinze della carta. Ma è nelle ampie pennellate nere che Ambrosini raggiunge l’estrema sintesi delle forme umane, che divengono tratti crudi, corpi monchi, primitivi: va in scena lo spettacolo della fragilità.

Accanto, con le sue sculture di materiali recuperati, Bruno Tosi fa emergere invece una speranza; ai rifiuti, emblema dell’avidità e del consumismo contemporaneo, è concessa una possibilità di riscatto. La materia gettata e recuperata riaffiora in una veste nuova, i cui equilibri sono perfettamente calibrati: tra incastri, incollaggi, suture e inchiodature, i diversi materiali si combinano, si allineano, aderiscono perfettamente gli uni con gli altri. Tela, legno, carta, cartone, corde, chiodi e molti altri elementi “poveri” convivono sotto uno strato di pittura, che li ricopre rendendoli quasi indistinguibili; le diverse consistenze percepibili spingono l’osservatore ad interrogarsi sulla loro provenienza. Un lavoro incessante, quello di Tosi, fatto di una serialità paradossale, che restituisce unicità all’omologazione, in maniera precisa e perfettamente controllata. La mano dell’Uomo che produce e getta via si tende verso il rifiuto e lo redime, lo innalza a oggetto d’arte. Questa materia all’apparenza inerte, ma animata al suo interno, compie un lungo viaggio, giungendo infine alla propria liberazione, al valore in quanto tale.

Non vi è mistero invece nei materiali impiegati da Linda Fontanelli, lasciati spesso a nudo; sono dunque protagonisti il legno, la ceramica e il cuoio – quest’ultimo come un naturale proseguimento della tradizione conciaria famigliare. A primo impatto, ciò che accomuna le sue opere è l’andamento, morbido e ondoso, ma anche la minuziosità dei tratti a pirografo che punteggiano la superficie, generando una tendenza, una direzione. Questa marchiatura a fuoco, come un tatuaggio, si imprime tanto su una pelle modellata dall’Uomo – il cuoio – quanto su quella plasmata dalla natura – il legno –, correndo sulla superficie in linee, cerchi e punti. Un processo meditativo, quasi ossessivo, apprezzabile massimamente nel “Grande cuoio” rosso. Ma è nelle sfoglie in ceramica, invetriata o semplicemente biscottata, che Linda Fontanelli si muove verso una rielaborazione sensibile del dato naturale; presenze mosse e butterate, come in “Lunare 1 e 2”, oppure sottili lamine ceramiche, ondulate, che si combinano nei “Funghi d’albero”. La delicatezza dei suoi interventi sui materiali è inversamente proporzionale alla forza potenziale delle tecniche impiegate: la materia così animata dal fuoco, riscaldata, cotta e bruciata, si muove per infine adagiarsi e indurirsi al sole, o nel forno, cristallizzandosi in un preciso momento.

Infine, gli interventi puntuali di Loredana Müller completano il quadro, inserendosi armoniosamente in dialogo con le tre personalità artistiche presentate. Piccole carte in cotone fatte a mano, appena inchiostrate, appaiono nello spazio accostandosi ad alcune sculture di Tosi, in un gioco di rimandi tra materiali poveri. In fondo, quattro fogli di iris e paglia si combinano su tavola nella “Fuga in Egitto”, dove il segno diviene trama attraverso il solco, il graffio, la rimozione della materia grassa superficiale. La grande “Ferita alata”, dai tenui pastelli rosa e azzurri, emerge come una donna Vitruviana bendata, fatta di carta e di tela, le cui forme ricordano un abbraccio, un’apertura, un’ascesa. Compare, con leggerezza, accanto alle figure di Ambrosini, diversa ma profondamente complementare ad esse, nei toni e nello spirito. Infine, il tempo e la materia – elementi da sempre centrali nell’opera di Müller, che rispetta i cicli naturali e autoproduce i suoi materiali – nascono e muoiono nei “Momenti linfatici”. Il succo e i petali di tulipano sono inglobati nella cellulosa, combinandosi con lei; il gas rilasciato dai fiori ha forato la carta, trasferendo su di essa una traccia imprevedibile. In questa serie la ciclicità è espressa anche nella figura del cerchio, forma cardine nel lavoro di Loredana, la cui perfezione, senza principio né fine, la avvicina all’eternità. La stessa è presente nei profili del “Calice Raku”, ricordo di un passato al tornio, che conclude il percorso sacrale dell’arte e della vita, di materia in materia.





 

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